Il poeta e l’antropologo. Due fotografie per due Paesi

Il poeta e l’antropologo. Due fotografie per due Paesi.

di Michele Smargiassi – La repubblica

 

La fotografia della signora Letta voleva tornare a Lacedonia, e alla fine c’è tornata. Quarantacinque anni dopo. Per merito di una nevicata, di una buona memoria, e del Web.

6549988C-74BB-47B1-BE54-4E6BB9825707Da quando è tornata, quella foto non è stata tranquilla. Ha fatto figlie: altre immagini.

Questa è la storia di un paese che non si è accontentato della nostalgia. La storia di come un tesoro fotografico del passato può restare vivo, diventare un tesoro del presente.

Sì, lo so, non sono stato chiaro per niente. Ve la racconto meglio, quella storia, ma dovete seguirmi.

La nevicata era quella del 2012,imponente nel centro-sud. Gerardo voleva tornare al paese natale, Lacedonia, ma non era sicuro che fosse una buona idea. Sua moglie Luigina cercò notizie sul traffico su Internet. Come si fa oggi.

Vedete, Internet fa confusione, non sa mai bene cosa cerchi, e allora esagera. E con la coda dell’occhio, fra tanti risultati di ricerca per la parola Lacedonia, Luigina vide una foto, in bianco e nero, e in quella foto un volto. Che la chiamava.

Era Rosa Antonia, detta Letta. Sua suocera. Ma cosa ci faceva, quella foto, sul sito di un antropologo americano? Gerardo lo sapeva. Se lo ricordò, per meglio dire. Gli venne in mente che mamma Letta raccontava di un americano, fotografo, che un tempo le aveva fatto dei ritratti, e lei pensava che sarebbe finita su qualche rotocalco americano.

F977A6D3-AAB9-49EF-AB41-771F0BFA90BAGerardo credeva fosse una specie di favola. Invece ecco d’un tratto quella foto tornata da lontano lontano nel tempo e nel mondo, ed era come se sua madre gli dicesse, “vedi, non ti raccontavo bugie”.

Lo raccontò così Gerardo Ruggiero,qualche anno fa, il ritorno a casa, a Lacedonia, di un album dimenticato.

L’americano si chiamava, e si chiama ancora, Frank Cancian, in realtà italo-americano, figlio di emigrati, studente di antropologia che nel 1957 aveva vinto una borsa di studio Fullbright e se la volle spendere per un una ricerca su un piccolo paese d’Italia, la terra dei suoi antenati.

Il paese glielo suggerì un antropologo italiano, Tullio Tentori. Lacedonia. Un borgo di confine fra Campania e Puglia, un centinaio di chilometri a est di Napoli, poco più di seimila anime, tre su quattro contadini, uno su due analfabeta.

Un paese di case con gli animali dentro, tante ancora senza elettricità e acqua corrente. Un paese di quelli che i fotografi italiani avevano ormai smesso di “scoprire”, quando il folclore degli stracci cominciava ormai a lasciare il posto, sui rotocalchi, alla mascherata dei matrimoni delle regine e alle fanfaronate dei divi paparazzati in via Veneto.

A Frank, del pittoresco della miseria importava niente. Era un ricercatore. Aveva 22 anni soltanto ma sognava di fare antropologia visuale.

Si proponeva di “capire come le persone vivevano e fotografarne la quotidianità”. Si riteneva “un documentarista con un punto di vista”. Fotografò quel borgo per sette mesi, con cura, metodo, attenzione, immersione. Portò 1801 negativi oltre oceano. E non ne fece nulla.

“Non ero riuscito a trovare nessuna combinazione pratica che sostenesse la fotografia”. Lasciò perdere, intanto era diventato professore all’università di Irvine. Se ne andò a studiare i Maya, in Messico, per trent’anni.

Solo quando andò in pensione, riordinando l’archivio, ritrovò il suo reportage su Lacedonia, lo riordinò e lo mise sul sito. Dove la nevicata del 2012 e la buona memoria di Luigina fecero il resto.

Le fotografie di Cancian, dicevo, tornarono a Lacedonia con una mostra e un libro, sei anni fa. Non è questa la notizia che volevo darvi, è solo la premessa.

La notizia è che Lacedonia non le ha mai considerate una specie di album ingiallito, un repertorio di sospiri nostalgici. Qualcuno invece ha voluto che quelle fotografie agissero, prolificassero, ne producessero altre. Che Lacedonia vivesse, e non morisse, nelle sue immagini.

BE1AB09C-423E-4FEA-BC19-74399BB87F43Da alcuni anni c’è dunque un concorso-mostra, 1801 passaggi, aperto a tutti i fotografi interessati. Lo promuove il MAVI, Museo Antropologico Visivo Irpino. Ogni anno venti fotografie di Cancian vengono scelte, e i partecipanti sono chiamati a dare continuità a quel che ci vedono.

Ve lo dico perché siete ancora in tempo per il concorso di quest’anno. Date un’occhiata alle condizioni sul sito del Museo. Deciderà alla fine una eccellente giuria composta da una studiosa, Simona Guerra, un antropologo visuale, Francesco Faeta, e un fotografo di grande esperienza, Francesco Zizola.

Mentre ci pensate, vi dico cosa questa storia ha fatto pensare a me. Nel 1957, quando Cancian sceglie il suo paese, da un paio di anni un grande fotografo americano ha scelto a sua volta il suo. Che grazie a lui diventerà celebre, diventerà Un Paese. Il fotografo era Paul Strand e il paese era la Luzzara di Cesare Zavattini.

Scusate se mi permetto di dire che quei due paesi quasi contemporaneamente fotografati non si somigliano. Voglio dire che i loro ritratti fotografici si somigliano molto meno di quanto probabilmente si somigliassero, al di là della geografia e della storia, i due originali.

Saprete che Strand scartò molte location prima di scegliere Luzzara. Aveva preso in considerazione anche alcuni paesi del Meridione, per esempio Gaeta. Li aveva scartati perché in realtà non cercava il miserabilismo, ma l’epica proletaria. Voleva un paese di (non troppo) poveri ma belli e soprattutto orgogliosi e fieri.

Cancian invece voleva un paese di relazioni (nelle foto si vede quanto sia affascinato dai gesti “parlanti”, da buon etnologo) e di contraddizioni. Perché non era un poeta, come Strand, ma un antropologo. Sfogliate il suo libro (Cancian ve ne mette generosamente a disposizione online l’edizione americana). Se avete una copia di Un paese, sfogliate anche quella.

I paesani di Cancian ridono. Guardano spesso in macchina: sanno che c’è il fotografo e noi sappiamo che lo sanno. “È meglio se la gente mi conosce e sa che sono lì per scattare foto”. Quelli di Strand non sorridono quasi mai (gli diceva di non farlo) e guardano altrove.

A Luzzara il tempo è fermo, come la famiglia Lusetti in posa scultorea quasi fossero sul frontone occidentale della loro casa.

A Lacedonia ci sono gli asini per le strade ma si vede anche un poster del cinema: danno un film con Gregory Peck e Audrey Hepburn, il titolo è oscurato da un volantino di un comizio socialista. Le ragazzine sanno anche vestirsi da città e i ragazzi hanno l’occhiale nero che sarà presto la firma di Gini Paoli. Il nuovo e arrivato in paese, e lo sta lo svuotando: uno su sei parte migrante.

Luzzara di Strand è una Shangri-La senza tempo della purezza proletaria. Lacedonia di Cancian è un paese contemporaneo, sulla faglia fra arcaismo e modernità.

Luzzara di Strand è un paese dell’immaginario (anche se non vuol dire posticcio). Lacedonia di Cancian è un paese della storia (anche se non vuol dire prosaico).

Non sono due paesi diversi, sono due linguaggi fotografici diversi, che il bianconero accomuna ingannevolmente. Sono due genealogie del fotografico, entrambe nobili, che possono anche scambiarsi qualche parola, ma camminano su strade diverse.

Dopo Strand, le resurrezioni fotografiche di Luzzara (ce ne furono molte) poterono essere solo nuove letture poetiche, rivisitazioni d’autore del lavoro di un autore. Verifiche di un testo.

Dopo Cancian, la resurrezione fotografica di Lacedonia è la rivisitazione di un luogo e di una comunità. Verifiche di un contesto.

Abbiamo bisogno di entrambi, di Strand e di Cancian, del poeta e dell’antropologo. La fotografia per nostra fortuna è grande, e può darceli entrambi.

 

fonte: http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2019/08/27/frank-cancian-lacedonia-paul-strand-luzzara-fotografia-antropologia/